Complessivamente quasi un quarto (il 24,4%) del reddito complessivo era percepito invece dal 10% della popolazione che si trovava nella fascia più alta. Il confronto con il periodo pre-crisi è impietoso e mostra come negli anni sia mancata una apposita politica di ridistribuzione della ricchezza. Rispetto al 2008, anno nel quale la crisi finanziaria ha cominciato a ripercuotesi sull’economia reale e quindi su cittadini e lavoratori, il decile più benestante ha accresciuto la sua quota di reddito disponibile (era al 23,8%) mentre quello più povero ha registrato un crollo (dal 2,6% ad appunto l’1,8%).
Eurostat segnala ancora che in Italia il 40% della popolazione con i redditi più bassi aveva nel 2016 appena il 19,1% dei redditi complessivi contro il 19,7% del 2015 e il 20,2% del 2010. La contrazione è stata avvertita anche nel resto del vecchio continente, anche se in modo meno accentuato, considerando l’insieme dei Paesi. Nella media europea nello stesso periodo il 40% della popolazione con redditi più bassi è infatti passato dal 21,2% al 20,9% del reddito complessivo. In Germania, in particolare, la disuguaglianza è meno accentuata con il 21,7% di reddito per il primo 40% più povero. In Francia la percentuale è del 22,6%.
Dal lato opposto il 40% più ricco percepisce in Italia il 63% del reddito disponibile, ma è soprattutto il dieci per cento più benestante che registra un vantaggio negli anni della crisi con il 24,4% (23,8% la media Ue) del totale e una crescita dal 2008 di sei decimi di punto. Nello stesso periodo la media Ue per il decile più ricco si è ridotta di otto decimi di punto. Il coefficiente di Gini (che misura la diseguaglianza della distribuzione del reddito) è passato nel nostro Paese dal 31,7 del 2010 al 33,1 nel 2016. Il più alto è in Bulgaria (38,3) mentre il più basso è in Slovacchia (24,3).