Autonomia differenziata: Zaia e Fontana mettono in scacco il Sud

Luca Zaia (S) Matteo Salvini (C) e Roberto Maroni (d) sul palco durante la manifestazione della Lega Nord contro il Governo Renzi, Piazza del Popolo, Roma, 28 febbraio 2015. ANSA/RICCARDO ANTIMIANI

Mentre qualcuno al Sud si straccia le vesti per la spigolosa operosità del nuovo ministro degli Interni Matteo Salvini, Fontana e Zaia, colleghi di partito del segretario leghista, rispettivamente governatori di Lombardia e Veneto, mettono a segno un colpo di valenza epocale che promette di stravolgere gli equilibri già precari e le interdipendenze di questo strampalato Paese: la tanto reclamizzata autonomia differenziata. Il colossale fenomeno migratorio e le contingenze internazionali che stanno interessando le grandi potenze mondiali sono evidentemente strumenti di distrazione di massa provvidenziali per l’esecutivo del premier Conti e dei ministri Di Maio e Salvini, con quest’ultimo che, approfittando delle emergenze umanitarie, si ritrova a fare incetta di proseliti persino nella tanto vituperata Napoli.

Mentre nella città partenopea qualcuno si affanna ad osannare Salvini – dunque – Lombardia e Veneto si preparano ad attuare la cosiddetta autonomia differenziata tra governo e Regioni; una manovra che gli consentirà di trattenere sul territorio ben 35 miliardi di residuo fiscale che saranno depennati dalla spesa pubblica destinata alle politiche sociali del Sud. Ma se in un’area del Paese si produce di più – direte voi – non è forse giusto trattenere sul territorio quel differenziale tra tasse versate e servizi ricevuti? Domanda semplicistica, vi rispondiamo. La disomogeneità strutturale e infrastrutturale italiana e le iniquità tra i redditi delle sue macro aree sono l’elemento chiave per comprendere a fondo le rivendicazioni meridionaliste. Un recente studio de Il Sole 24 Ore, ad esempio, afferma che i 3/4 dei big dell’industria italiana si concentra in sole quattro Regioni: Lombardia, (37,6% delle imprese), Lazio (20,2%), Veneto (9,3%) ed Emilia Romagna (8,9%). Se poi si aggiungono Piemonte (7,4%) e Toscana (5,4%) si arriva a coprire il 90% dello Stivale. Le altre 14 regioni valgono il restante 10% e il Sud – naturalmente – è il fanalino di coda.

Lo studio, effettuato in collaborazione con il Crif, stabilisce che l’83,3% delle aziende che fatturano più di un miliardo di euro è localizzato nel Centro-Nord (ben oltre il 50% ha sede legale in sole tre Regioni: Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna – Regioni che riceveranno presto maggiore autonomia fiscale). Le conseguenze di questo corposo sbilanciamento economico determinano una maggiore capacità fiscale del Nord, frutto delle tasse versate dai colossi industriali – che vanno a gonfiare i bilanci delle Regioni di appartenenza – e del peso specifico dei singoli redditi, di gran lunga superiori a quelli dei cittadini del Sud (il reddito pro capite in Lombardia è pari a 36.600 euro mentre in Calabria la media è di 16.800 euro).