E dire che Silvio Berlusconi era venuto fin quassù, sui monti al confine sloveno, per celebrare un 25 Aprile non polemico, pacificato e pacificatore, da padre o da nonno della Patria. La scelta di Porzus non è casuale. Qui 17 partigiani bianchi della Osoppo furono assassinati da quelli rossi della Garibaldi, «la pagina peggiore della guerra partigiana», dice Berlusconi. Ma, forse perché per una volta legge e non improvvisa, cerca di volare alto. Il luogo si presta: è una piccola malga fra i boschi carica di ricordi tragici, solo alberi e lapidi, poca gente e tanto silenzio. Berlusconi omaggia i martiri, i «ragazzi dei Paesi alleati», ricorda chi combatté in buona fede dall’altra parte, che però era quella «sbagliata» e ha un pensiero per la Brigata ebraica: «Il fatto che oggi sia oggetto di contestazione vuol dire che l’antisemitismo non è affatto morto e che c’è chi non ha capito nulla del valore unificante della Liberazione».
Combattendo con un microfono imprevedibile, Berlusconi rivendica la Liberazione come festa di tutti, contro i tentativi annessionisti della sinistra, e propone di ribattezzarla Festa della Libertà, che è poi, citando Croce, «una religione». In filigrana, venendo a meno filosofici problemi, c’è spazio per l’ennesima apertura a un governo di larghe intese: «Una soluzione alla crisi non può tollerare veti e preclusioni, ma dev’essere rispettosa del voto degli italiani. Il linguaggio della politica non dovrebbe mai assumere toni livorosi e aggressivi». Morale: «L’odio, i veti, le preclusioni non sono da 25 Aprile».
Applausi. L’ex Cav riceve la medaglia commemorativa e si annoda il fazzoletto verde della Osoppo. Poi, purtroppo, riparla e straparla. Due aggiornamenti, intanto: della sua autobiografia, con il pestaggio subito a 12 anni, alle fatidiche elezioni del 1948, per aver coperto con dei manifesti della Dc quelli del Pci, «e che bello lo slogan “Nella cabina elettorale Dio ti vede e Stalin no”», risate e applausi; e dei colpi di Stato subiti dall’Italia, che adesso sono cinque, «a partire da quello di Mani pulite». Subito dopo, arrivano le micidiali frasette sui grillini. Volute o lapsus linguae? I berlusconologi dibattono, di certo queste voci dal sen fuggite raccontano quel che Silvio pensa davvero di loro.
Ovviamente, non fa a tempo ad arrivare ad Aquileia per un comizio con il candidato a governatore del Friuli, Massimiliano Fedriga, che la politica si ribella e il web ribolle. Matteo Salvini, che forse spera ancora di riprendere a dialogare con Giggino, è feroce: «Meglio tacere e rispettare il voto degli italiani che dire sciocchezze. Io voglio dare un governo all’Italia, sono stufo di insulti, capricci e litigi» (risponde a giro d’agenzia Renato Brunetta: «Per quanto riguarda le sciocchezze, che dire delle passeggiate su Roma alla vigilia del 25 aprile?»). Dal fronte grillino twitta l’europarlamentare Ignazio Corrao, tutto en finesse: «Berlusconi conferma la sua innata passione per i deliranti paragoni con il nazismo (e anche per le figure di m…, stile kapò a Martin Schulz). Avesse fatto la galera che meritava, forse avrebbe salvato un po’ di dignità per la vecchiaia».
Silvio, intanto, cerca di troncare e sopire.
Prima con un comunicato nel quale il suo staff spiega che si è limitato a riferire una frase «che chiaramente non appartiene al pensiero e al sentire del Presidente Berlusconi». E poi in prima persona, ad Aquileia: «Il mio discorso è stato di pacificazione, ho invitato gli italiani a unirsi. Ho fatto un discorso assolutamente contrapposto a quella frase. Non pensavo nemmeno venisse registrata», anche se per la verità l’ha detta davanti a una muraglia di microfoni. Sta di fatto che domenica in Friuli si vota e venerdì saranno in regione a chiudere la campagna Salvini, Berlusconi e Meloni. Ma il discorso uno e trino sul quale gli sherpa lavoravano da giorni non si farà. Comizieranno in ordine sparso.