Dopo Genova, nel mirino del Governo 156 concessionari: sotto esame caselli, dighe e le strade di Anas

Venticinque concessionari di autostrade più circa 130 di dighe e impianti idroelettrici, oltre ad Anas per le strade di sua competenza. È questa la galassia di enti e società sotto osservazione da parte del governo dopo il disastro di Genova, quelli che entro il 1° settembre dovranno inviare al ministero delle Infrastrutture i report su conservazione e manutenzione delle opere. Alla fine, a parte alcune eccezioni, si è deciso di escludere i comuni e le province, nonostante queste ultime gestiscano quasi la metà dei 60mila ponti e viadotti italiani. Troppo complesso lo screening per amministrazioni impoverite negli anni di risorse e personale.
Il punto di partenza è chiaro: rivedere l’intero sistema delle concessioni di infrastrutture autostradali, idriche ed elettriche «per evitare lo sbilanciamento a favore dei concessionari». Il punto di arrivo è più incerto, e dipenderà dalla fattibilità della nazionalizzazione (cara soprattutto al M5S) più volte ipotizzata in questi giorni. Si andrà avanti per step, quasi per cerchi concentrici. Sotto i riflettori c’è innanzitutto Autostrade, sulla quale pende la procedura di decadenza della concessione avviata formalmente dal ministero delle Infrastrutture guidato da Danilo Toninelli.

Entro 15 giorni dovrà presentare le sue controdeduzioni alla contestazione di «gravissimo inadempimento degli obblighi di manutenzione e custodia» in relazione al disastro di Genova. Tempi ed esito del procedimento non sono affatto scontati. La volontà politica appare al momento quella di escludere del tutto la società del gruppo Atlantia dalla gestione della rete. «Questi i nostri ponti e le nostre strade non li gestiranno mai più», ha promesso tranchant il vicepremier Luigi Di Maio a uno dei familiari delle vittime. Al punto che già si studiano tre possibilità per il destino dei circa 3mila chilometri oggi in mano ad Autostrade, quasi la metà del totale: la creazione di una Newco pubblica, l’affidamento ad Anas (la cui fusione con Ferrovie è stata bloccata dal governo gialloverde) e il commissariamento. Sempre che si riesca ad arrivare alla decadenza della convenzione senza penali insostenibili.
Ma Atlantia è soltanto uno dei 25 concessionari che gestiscono oltre 6mila chilometri di rete su 7mila complessivi. Le si affiancano società pubbliche e private, da Stm e Sias, del gruppo Gavio, a Toto Holding, che gestiscela cosiddetta “strada dei parchi”, la doppia tratta autostradale A24 (Roma-L’Aquila-Teramo) e A25 (Torano-Avezzano-Pescara). Toto è già nel mirino, per il suo piano economico-finanziario giudicato “povero” di investimenti. In ballo ci sono i 192 milioni bloccati al Mef che il gruppo reclama per la messa in sicurezza post-sisma. Ma tutti da settembre saranno contattati dal governo, come ha annunciato venerdì il premier Giuseppe Conte per riequilibrare il dare/avere.
Lo stesso accadrà ai circa 130 concessionari delle dighe (quelle grandi di competenza statale sono 532, con un’età media di 60 anni e collocate nel 37% dei casi in aree sismiche) e degli impianti idroelettrici. Tra questi concessionari, accanto a molti soggetti pubblici, ci sono grandi gruppi e multiutility come Enel, Erg, Edison e A2A. Anche per loro scatta intanto l’obbligo di effettuare il monitoraggio e di comunicare al Mit «gli interventi necessari a rimuovere condizioni di rischio riscontrate». Il tempo stringe: per farlo ci sono soltanto 12 giorni.