Farah, giovane incinta portata in Pakistan e «costretta ad abortire»

Ancora un amore contrastato tra una giovane pachistana e un ragazzo italiano. Il padre vive a Verona da una decina d’anni, ha un negozio in città che conduce in collaborazione con un figlio, pare bene integrato, ma non ne vuol sapere che sua figlia sia innamorata di un coetaneo italiano. E l’ha riaccompagnata in Pakistan. Dove l’avrebbe pure fatta abortire. Usiamo il condizionale, perché i messaggi in tal senso della giovane sono tutti da verificare.

Dopo la tragica vicenda di Sana, uccisa dal padre e dal fratello, perché voleva sposare un giovane di Brescia, ecco un’altra triste storia, in questo caso, per fortuna meno tragica, tuttavia drammatica. Farah, 18 anni, studentessa vicina alla matura, è rientrata nel suo paese ai primi di gennaio. Improvvisamente, a quanto pare non di propria iniziativa, ma obbligata, e forse accompagnata, dai familiari. Accadeva dopo un lungo periodo di vicissitudini in casa, tanto da essere costretta, l’estate scorsa, a denunciare il genitore e a chiedere la protezione dei Servizi sociali del Comune.

Una volta in Pakistan, la ragazza vi è rimasta ben oltre i tempi in cui il fidanzato e la scuola l’aspettavano di ritorno. Scuola che stava esaminando l’opportunità di anticipare l’esame di maturità, come aveva chiesto la studentessa, perché il parto era programmato per la fine dell’anno scolastico e lei non voleva perdere il diploma. Il suo ragazzo, stessa età, quando ha cominciato a ricevere quegli sms carichi d’angoscia e l’invito di Farah ad essere aiutata a tornare a Verona, si è attivato con la scuola e il Centro del Progetto “Petra”, particolarmente attivo nella protezione delle donne in difficoltà.

Farah, tra l’altro, gli avrebbe raccontato di essere stata costretta ad abortire. Indagini sono in corso da parte della Polizia, allertata dall’Istituto Professionale San Micheli, la scuola della pachistana, per verificare se il racconto corrisponde a verità. Ed è quanto stanno cercando di sapere anche i Servizi Sociali del Comune di Verona, dai quali Farah è stata presa in carico dal settembre scorso ai primi giorni di gennaio. «Mi hanno fatto una puntura ed hanno ucciso il mio bambino, mio padre vuole che mi sposi qui» ha messaggiato la ragazza al fidanzato, che conferma la volontà di entrambi di tenere il bimbo.

Alle amiche ha pure scritto di essere stata persino sedata e legata ad un letto per abortire. Le autorità di Polizia hanno chiesto la collaborazione anche del Consolato pachistano.

I rapporti con il padre si sono incrinati l’anno scorso, probabilmente a causa della relazione affettiva. Non sono mancati neppure i maltrattamenti, così come riferito da Farah. L’assessore comunale Stefano Bertacco ha ammesso che per questo motivo la studentessa era stata accolta in una casa protetta. Ma improvvisamente, a dicembre, la giovane ha rinunciato all’assistenza, spiegando che la relazione in famiglia si era rasserenata. Solo apparentemente, da quanto si arguisce, nel tentativo del padre di convincere la figlia a ritornare in Pakistan. Ma a casa Farah è piombata nell’incubo. «Noi siamo pronti ad accogliere di nuovo Farah, a proteggerla e ad accompagnarla – ha rassicurato Bertacco – ma la situazione si è spostata in Pakistan e la stessa diplomazia italiana ha qualche difficoltà ad intervenire».

Già numerose, comunque, le iniziative parlamentari per attivare il Ministero degli Esteri affinché accerti la verità.