Gli italiani lavorano più dei tedeschi, ma la produzione batte la fiacca

Italiani, popolo di stacanovisti. È il termine che, sfidando i più radicati luoghi comuni, oggi sembra caratterizzare maggiormente i lavoratori del nostro Paese. Secondo i dati diffusi dall’Istat, negli ultimi cinque anni, è cresciuto il numero di coloro che lavorano oltre 40 ore settimanali. Una tendenza che nell’ultimo anno è arrivata al 18 per cento con oltre 3 milioni di super lavoratori. In particolare nell’ultimo trimestre del 2017 le ore lavorate per dipendente sono aumentate dell’1,6 per cento rispetto all’anno precedente con un picco del 2,9 per cento nell’industria.

Per fare un esempio, numeri alla mano, con 1.725 ore pro capite contro le 1.371 della Germania, gli italiani lavorano il 20 per cento in più rispetto ai tedeschi e 222 ore in più rispetto ai francesi, pur producendo il 20 per cento in meno e avendo un salario inferiore. Un’indagine della Bnl ha, infatti, evidenziato come, nonostante nel nostro Paese la media delle ore lavorate sia molto superiore a quella dei principali Paesi europei, la produttività rimanga svincolata da questa tendenza. Per tale ragione mentre dal punto di visto economico i maggiori Stati europei sono tornati ai livelli pre crisi, all’Italia mancano ancora 6 punti percentuali di Pil per recuperare quanto perso dal 2008.

Analizzando i dati relativi al 2016 si vede come per produrre circa 1.500 miliardi di euro di valore aggiunto siano state occupate 24,8 milioni di persone. Un’anomalia tutta italiana che con 60.810 euro di ricchezza l’anno, prodotti in media da un lavoratore italiano, ci colloca dopo Germania (65 mila euro per lavoratore) e Francia (72 mila euro). Il dislivello maggiore si registra nel manifatturiero dove il valore aggiunto prodotto da un lavoratore italiano è di 36 euro contro i 55 euro francesi e i 60 tedeschi, mentre nel settore dei servizi il nostro Paese raggiunge livelli simili se non superiori a quelli di Francia e Germania.

La mancata corrispondenza tra ore lavorate e produttività può essere ricercata, innanzitutto, in quel divario tra Nord e Sud che, da sempre, caratterizza l’economia italiana. Sempre secondo i dati forniti dalla Bnl si vede come il ritardo in termini di produttività si sviluppi in maniera differenziata a livello territoriale. Da un valore aggiunto che raggiunge i 70mila euro per occupato in Lombardia, rimanendo elevato anche in Trentino Alto Adige, Liguria, Valle d’Aosta ed Emilia-Romagna, scendendo in Molise, Puglia e Calabria, si arriva a livelli molto al di sotto della media nazionale.

Ma tra i colpevoli di questo stacanovismo economicamente inefficiente si può annoverare anche la soppressione del contributo previdenziale aggiuntivo sul lavoro straordinario che, da dieci anni a questa parte, non ha fatto che accentuare questa infruttuosa atipicità italiana. Detassando le ore in più si è, di fatto, reso più conveniente per i datori di lavoro aumentare l’impegno settimanale dei propri dipendenti a scapito della produttività e di nuove assunzioni. È così che, invece di accorciarsi come è sempre successo nella storia, la giornata lavorativa in Italia è rimasta ferma agli anni Settanta, rendendo il tema della riduzione dell’orario a parità di salario una delle principali sfide politiche dei nostri tempi.