La vera emergenza migranti è quella del giovani che scappano dal Mezzogiorno

1 milione e 883 mila persone in soli 16 anni, di cui 900mila giovani di età compresa tra i 15 e i 34 anni, più di 250mila laureati. E ancora: 580mila posti di lavoro persi per chi ha dai 15 ai 34 anni nel decennio tra il 2008 e il 2017, pari a un tasso di occupazione giovanile del 28,5%, con quasi tre giovani su quattro senza lavoro. Ecco i migranti di cui dovremmo preoccuparci, la vera emergenza di questo Paese. Quella dei giovani che scappano dal Mezzogiorno alla ricerca di un futuro, che è ovunque tranne che in quel pezzo d’Italia, sempre più povero, sempre più disgraziato.

È un’emergenza che ormai certifichiamo con cadenza annuale, a ogni rapporto Svimez, 2018 compreso, e che puntualmente ritroviamo oggi su ogni quotidiano, ieri sera in ogni telegiornale. Emergenza per la quale ci battiamo il petto tre volte, per ventiquattro ore scarse, per poi tornare a fregarcene per i restanti 364 giorni dell’anno. Anzi, peggio: raccontandoci che siamo vittime di un’invasione di giovani stranieri che rubano il lavoro ai nostri, come se il problema fosse quello, una guerra tra giovani laureati disoccupati e giovani migranti dequalificati che arrivano per spaccarsi la schiena a raccogliere pomodori.

Se non altro, i numeri dello Svimez non mentono, nel raccontare un’economia meridionale atrofizzata, dipendente dalla spesa pubblica come se fossimo ancora in pieno Piano Marshall – ogni euro in meno alle pubbliche amministrazioni genera un calo del Pil di quasi 90 centesimi, al Centro Nord di 40 -, in cui gli investimenti infrastrutturali crescono solamente in prossimità della chiusura dei cicli di programmazione dei Fondi strutturali europei, per evitarne la restituzione, alla faccia della programmazione e dell’utilità. In cui sono tali e tanti i divari infrastrutturali che lo Svimez nemmeno ci prova a definire un ordine di priorità: qualunque investimento al sud, in quanto tale, è potenzialmente in grado di generare valore, come se le politiche pubbliche fossero l’unico elettroshock in grado di rianimarlo.


1 milione e 883 mila persone in soli 16 anni, di cui 900mila giovani di età compresa tra i 15 e i 34 anni, più di 250mila laureati. E ancora: 580mila posti di lavoro persi per chi ha dai 15 ai 34 anni nel decennio tra il 2008 e il 2017, pari a un tasso di occupazione giovanile del 28,5%, con quasi tre giovani su quattro senza lavoro. Ecco i migranti di cui dovremmo preoccuparci, la vera emergenza di questo Paese

Non è così. Oggi la priorità non sono i ponti sullo stretto, né tantomeno i sussidi a pioggia. Oggi la priorità è rianimare un tessuto economico e culturale attorno a delle forti polarità di sviluppo, per trattenere i giovani perlomeno nelle aree urbane del mezzogiorno, Napoli in primis, città più giovane d’Europa in una terra di vecchi. È la banda ultralarga, soprattutto nelle aree interne, che può offrire quell’infrastruttura in grado di attivare progetti e processi di innovazione economica e sociale, aprendo nuovi mercati a piccole economie locali che soffrono soprattutto la distanza dalle grandi arterie di comunicazione. È un intervento radicale sull’edilizia scolastica e sulle scuole aperte anche al pomeriggio, che incardini lo sviluppo del Mezzogiorno sui giovani e sul capitale umano, dirottando su di loro tutti i progetti e i fondi per lo sviluppo europei, investendo in ecosistemi per lo sviluppo e capitale di rischio, anziché in sussidi a pioggia o nel welfare differito del posto fisso.

Se ciò non accadrà, abbiamo già la fotografia di quel che sarà il Mezzogiorno di domani. Un ospizio dei poveri vecchi del Vecchio Continente – che quelli ricchi, bontà loro, se ne scappano in Portogallo – con un età media attorno ai 51 anni, con 1,4 milioni di ultra sessantacinquenni in più e 1,6 milioni di bambini in meno. A quel punto, davvero, saremo riusciti a far avvizzire un pezzo del Paese, fino a ucciderlo. A quel punto, davvero, non avremo alcun diritto nemmeno a reclamarlo come nostro. E dovremmo pregare che qualche migrante venga a salvare il Sud Italia. Che faccia peggio di noi è impossibile.