L’intervento sui contratti a termine
Anche da questa constatazione nasce l’idea di tagliare la durata dei contratti a termine. Ne scoraggerebbe l’uso. Sarebbe un segno di attenzione verso i giovani, che li «subiscono» più spesso. E forse anche il danno minore per Confindustria, che contrasterebbe molto di più altre modifiche, come l’aumento dei contributi per renderli più costosi dei contratti stabili. Ma, soprattutto, sarebbe una misura a costo zero per lo Stato. L’intervento potrebbe essere inserito nella manovra ma più avanti, quando il testo approderà alla Camera. Oppure nel decreto Milleproroghe, che non è ancora del tutto escluso.
Il piano B, l’aumento dell’indennizzo minimo
In alternativa, e con meno probabilità, c’è un’altra misura allo studio. Far salire, in caso di licenziamento illegittimo, l’indennizzo minimo che con il Jobs act ha preso il preso il posto del reintegro nel posto di lavoro del vecchio articolo 18. Oggi l’indennizzo minimo è pari a quattro mesi di stipendio: potrebbe salire a 5 o 6 mesi. Mentre il tetto massimo resterebbe fermo a 24 mesi. Proprio con il disegno di legge di Bilancio il governo ha già previsto il raddoppio della cosiddetta tassa sui licenziamenti, portandola da 1.470 a 2.940 euro. Ma la misura riguarda i licenziamenti collettivi, quelli delle imprese con oltre 50 dipendenti. L’aumento dell’indennizzo toccherebbe invece i licenziamenti individuali e le piccole imprese.
Che cosa c’entra il bonus bebè
Ma, al di là degli aspetti tecnici, il ragionamento è tutto politico. Senza l’eliminazione del superticket, la mossa sul lavoro serve a bilanciare la conferma del bonus bebè da 80 euro al mese chiesta dai centristi della maggioranza. Per i nati nel 2018 sarà confermato con le stesse regole e gli stessi stanziamenti di quest’anno, 185 milioni di euro. Così si è deciso in una riunione dei gruppi con la relatrice Magda Zanoni, Pd. Per gli anni successivi ci sono meno soldi. Toccherà al prossimo governo decidere cosa fare.