Nessun permesso
Per realizzare questo suo piano di emergenza, Mattarella non chiederà l’autorizzazione alle forze politiche. Sa già che, se domandasse in anticipo il permesso, Cinque stelle e Lega si metterebbero immediatamente di traverso. Dunque le consultazioni convocate in tutta fretta per lunedì avranno un diverso obiettivo. Serviranno (fa sapere il Quirinale) a «verificare se i partiti abbiano altre prospettive di maggioranza di governo». E a farle venire a galla, ammesso che esistano. Esempio: Salvini, che sta reclamando l’incarico per provarci lui, sarà invitato a indicare i gruppi disposti a votarlo. Se la risposta non sarà stata soddisfacente, avanti un altro. Esempio numero due: qualora Berlusconi sostenesse di avere in tasca non si sa quanti deputati e senatori grillini, Mattarella lo pregherà di farne i nomi seduta stante, non si accontenterà di fumisterie. Sessanta giorni di veti incrociati, fanno sapere lassù, sono stati anche troppi.
Basta scuse
In sostanza, l’ulteriore giro di consultazioni servirà al Presidente per fare piazza pulita degli alibi, in modo che nessuno passa ragionevolmente sostenere un domani: «Io avevo la chiave di volta, ma l’inquilino del Colle non mi ha dato retta». Lunedì sarà l’ultima occasione per scoprire le carte, iniziando alle 10 dai Cinque Stelle. Ecco, appunto, perché l’ultimo round di consultazioni comincerà proprio da loro? Contrariamente al solito, Mattarella riceverà per primo il gruppo più numeroso e, a decrescere, tutti gli altri. Pare che dietro ci sia una esigenza pratica: esauriti entro l’ora di pranzo i gruppi maggiori, il Capo dello Stato avrà l’intero pomeriggio per preparare le mosse dell’indomani. I suoi collaboratori negano che Mattarella abbia in mente il nome del premier. Circola solo un identikit che ancora attende sembianze umane. Dovrà trattarsi di uomo o donna capace di destreggiarsi nei labirinti dell’economia, ma anche (e soprattutto) di farsi rispettare nelle sedi europee. Un frequentatore del Quirinale, spiritosamente, ieri sera informava che da quelle parti si attendono suggerimenti. Il nuovo premier presterà giuramento, i ministri idem, e si presenteranno alle Camere per la fiducia. Non è affatto certo che riusciranno a ottenerla. Dalle prime reazioni, sembra improbabile. Per invogliare le forze politiche, Mattarella spiegherà che a dicembre si tireranno le somme; aggiungerà che, nel frattempo, nulla vieterà di tentare gli accordi fin qui falliti. Casomai Salvini e Di Maio finalmente trovassero la famosa intesa, il loro governo prenderebbe subito il posto di quello presidenziale.
In caso di rifiuto
E se il Parlamento, insensibile, negasse un via libera? Il governo del Presidente resterà in carica per accompagnarci alle urne. Negli ambienti di governo si ipotizza una data: il 30 settembre. Non ci sarà più tempo per approvare la Finanziaria, dunque piomberemo nell’esercizio provvisorio. Per colpa delle «clausole di salvaguardia», l’Iva balzerà al 25 per cento. Con la sedia dell’Italia vuota, a Bruxelles ci taglieranno i fondi per agricoltura e Sud, sugli immigrati ci metteranno spalle al muro. Mattarella resterà forse profeta inascoltato, ma perlomeno lui ci avrà messo la faccia.