Pensioni d’oro, si parte da 4mila euro. Più severa la mannaia del governo

Il piano taglia-pensioni d’oro punta sempre più a dare una sforbiciata a quelle da 4mila euro netti mensili in su. La soglia dei 5mila, indicata originariamente, appare troppo alta per garantire risparmi adeguati. In sostanza, solo se viene ridotto il tetto dal quale far scattare la penalità si può ipotizzare un incasso superiore al miliardo, mentre la proposta base porterebbe a poco più di 115 milioni di incassi. I destinatari dell’intervento passerebbero da circa 30mila a oltre 100 mila.

A tradurre in numeri e norme l’indicazione politica del Contratto tra Lega e 5 Stelle e, soprattutto, il ripetuto annuncio del super-ministro Luigi Di Maio è un gruppo di lavoro del quale fanno parte il giuslavorista Pasquale Tridico (diventato il consulente numero uno del capo grillino) e il presidente dell’Inps, Tito Boeri, da sempre schierato per l’intervento sulle pensioni più elevate calcolate con il retributivo. Non è un caso che proprio in questi giorni lo stesso Di Maio abbia difeso il numero uno dell’Istituto previdenziale («Il suo mandato scade nel 2019. E su molte cose abbiamo una visione comune. Penso ai vitalizi e alle pensioni d’oro») dagli attacchi di Matteo Salvini. E, d’altra parte, Tridico e Boeri si sono incontrati più volte proprio per lavorare sul piano.

Non a caso. È Boeri il teorico del ricalcolo contributivo delle pensioni, oltre che dei vitalizi degli ex parlamentari. In pratica, si dovrebbero ricalcolare con il metodo contributivo (che mette in relazione l’importo dell’assegno con i contributi versati) tutte le prestazioni di importo elevato liquidate nei decenni passati e far scattare un contributo sulla parte squilibrata. La sua prima proposta è del 2014 e si trova nero su bianco su la voce.info. «Niente scuse – avvisava l’economista bocconiano – è possibile chiedere un contributo di equità basato sulla differenza tra pensioni percepite e contributi versati, limitatamente a chi percepisce pensioni di importo elevato. Si incasserebbero più di quattro miliardi di euro, riducendo privilegi concessi in modo poco trasparente». Solo che allora la sforbiciata progressiva scattava dalle pensioni da 2mila euro mensili in su. Nel documento successivo elaborato da presidente dell’Inps, «Non per cassa, ma per equità», Boeri ha ridotto la platea interessata al taglio, ma non più di tanto. Ora, la prima versione dell’analoga operazione di ispirazione grillina partiva da un intervento su prestazioni da 5mila euro netti mensili (circa 8.500 lordi). Il numero di pensionati sopra quella soglia è di circa 30mila persone.

Lo squilibrio prestazione/contributi si aggirerebbe intorno al 5-6 per cento. Il taglio ammonterebbe a circa il 5 per cento dell’intera pensione: su una pensione di 5.837 netti, la quota tagliata sarebbe di 284 euro netti mensili. In totale l’incasso sarebbe di circa 115 milioni di euro. Per arrivare a un risparmio da un miliardo, obiettivo indicato dell’intervento, ci vuole ben altro. «Solo estendo l’intervento dai 4mila euro netti in su di reddito pensionistico, non di singola pensione, il gettito potrebbe arrivare intorno al miliardo». A confermarlo è Stefano Patriarca, economista ex consulente del governo, oltre che ex dirigente dell’Inps e autore con Boeri della prima proposta, oggi a capo della società di ricerca Tabula. «E questo – incalza – non solo perché gli assegni passerebbero da 30mila a più di 100mila ma anche perché aumenterebbe lo ‘squilibrio contributivo’, quella parte di assegno che non corrisponde al valore finanziario dei contributi pagati».