Per lo Stato le sevizie sui migranti non esistono. Ma i corpi feriti non mentono.

Ad aprile un’inchiesta di The Intercept ha gettato molte ombre sul sistema americano di accoglienza dei migranti. Agenti che puniscono corporalmente chi si rifiuta di praticare loro sesso orale, operatori che strofinano i propri genitali su quelli di ragazze stese a terra, inermi, donne che vengono violentate nei furgoni durante il tragitto verso i tribunali. Sono 1.224 le denunce di questo tipo raccolte dalla testata tra il 2010 e il 2017, che diventano 33mila se si allarga lo spettro al di là della sfera sessuale. Tutte queste violenze sono avvenute in centri di detenzione per migranti, un mosaico di circa 200 strutture sparse per gli Stati Uniti e in cui si trovano oltre 400mila persone. Davanti a questo elenco di soprusi, che prolungano l’odissea di persone già in fuga da guerre e carestie, le istituzioni restano indifferenti: dei casi raccolti da The Intercept, solo il 2% ha visto l’apertura di indagini ufficiali.

In Europa le cose non vanno meglio. Medici Senza Frontiere l’anno scorso ha raccolto in Ungheria testimonianze di 106 casi di violenza perpetrata dagli agenti ungheresi sul confine: ferite da pestaggio (54 casi), morsi di cane (24 casi), irritazioni da gas lacrimogeno e spray al peperoncino (15 casi) e altre ferite (35 casi). Per di più un provvedimento del Parlamento ungherese ha stabilito che i migranti devono vivere in container di metallo, all’interno di centri di detenzione circondati da filo spinato. In Grecia alcuni rapporti delle Nazioni Unite hanno invece messo in guardia dalle violenze subite dai migranti all’interno dei centri di accoglienza, a opera anche di operatori e forze dell’ordine.

Il problema, però, è che al di là di pochi report isolati, manca una documentazione minuziosa che raccolga tutte le violenze subite e denunciate dai migranti nella terra di approdo. E questo vale anche, e soprattutto, per l’Italia. L’unico lavoro recente in tal senso è il Rapporto Hotspot pubblicato da Amnesty International nel 2016. “Determinati a ridurre il movimento di migranti e rifugiati verso altri stati membri, i leader europei hanno spinto le autorità italiane ai limiti, e talvolta oltre i limiti, della legalità”, spiega nel documento Matteo de Bellis, ricercatore di Amnesty International sull’Italia. “Il risultato è che persone traumatizzate, arrivate in Italia dopo esperienze di viaggio strazianti, vengono sottoposte a procedure viziate e in alcuni casi a gravi violenze da parte della polizia, così come a espulsioni illegali.”

Sono 176 le testimonianze di violenza raccolte in un anno, tra cui quella di un 16enne del Darfur che racconta di aver subito ripetute scosse con il manganello elettrico, durante il prelevamento delle impronte digitali. O quella di un uomo di 27 anni che parla di umiliazioni e violenze di tipo sessuale per mano degli agenti di Polizia: “Ero su una sedia di alluminio, con un’apertura sulla seduta. Mi hanno bloccato spalle e gambe, poi mi hanno preso i testicoli con la pinza e hanno tirato per due volte. Non riesco a dire quanto è stato doloroso.” Decine e decine di storie simili, che in alcuni casi hanno portato alla perdita dei sensi delle vittime o addirittura a un’infermità permanente nelle parti del corpo colpite.

Il capo Dipartimento immigrazione del Viminale, Mario Morcone, ha definito “cretinaggini” le storie raccolte da Amnesty International. Eppure quelle testimonianze mi suonano familiari. L’anno scorso stavo coprendo l’emergenza migranti a Como, al confine con la Svizzera. Parlando con alcuni dei ragazzi in transito per la città e diretti verso la Svizzera, avevo raccolto storie simili a quelle contenute nel Rapporto Hotspot. Ricordo in particolare di Abdullah, 20enne etiope che mi aveva mostrato i segni delle violenze sulle sue mani. “Quando siamo arrivati a Lampedusa la polizia ci chiedeva di porgere le dita per prenderci le impronte, e poi le manganellavano,” mi aveva raccontato, sottolineando come altri suoi compagni di viaggio avessero subito varie forme di violenza in territorio italiano.

Tutto il materiale sul tema si limita a questo: un rapporto ormai datato due anni fa, e tante piccole storie personali raccolte in modo informale. Il problema delle violenze sui migranti in territorio italiano è stato accantonato, più che non interessare sembra proprio che non se ne voglia sapere nulla. Le istituzioni hanno fatto ben poco per approfondire la questione e anche dopo le denunce di Amnesty non è nato alcun osservatorio permanente che possa fare luce sulla questione. A confermarlo indirettamente è il Ministero dell’Interno, che ho contattato perché potesse aggiungere qualche battuta in più a quel “cretinaggini” di un paio di anni fa. Attraverso uno scambio di mail e telefonate ho chiesto se esistesse materiale sul tema, se fossero state avviate indagini a seguito del rapporto di Amnesty e se, ancora, vi fosse un archivio con tutte le denunce presentate dai migranti nei centri di accoglienza, sulla linea di quello a cui The Intercept ha avuto accesso negli Usa. Non ho ricevuto alcuna risposta.

Davanti all’immobilità istituzionale, come spesso accade quando si parla di diritti umani (leggasi “violenza nelle carceri”), gli unici che provano a fare qualcosa sono piccole realtà che attraverso uno scrupoloso lavoro sul campo stanno raccogliendo nuove prove e testimonianze delle torture a cui sono sottoposti i migranti. Tra di loro, LasciateciEntrare, realtà che riunisce attivisti per i diritti umani, operatori umanitari e cittadini volontari nata nel 2011 per contrastare una circolare del Ministero dell’Interno che vietava l’accesso agli organi di stampa nei Cie (Centri di Identificazione ed Espulsione) e nei Cara (Centri di accoglienza per richiedenti asilo).

“Negli ultimi anni sono stati tanti gli episodi di violenza nei confronti dei migranti, sia nei maxi centri di accoglienza che nelle questure,” mi spiega Yasmine Accardo, portavoce del gruppo. “Purtroppo si tratta di un tipo di violenza molto difficile da denunciare, perché l’ultima cosa che vuole chi sta in un centro è avere problemi con le forze dell’ordine, e inoltre è difficile mantenere un contatto con chi viene espulso.” Tra il 2014 e il 2015 LasciateciEntrare ha denunciato numerosi casi di violenza alla Corte Europea, ma quelli più eclatanti sarebbero quelli di Lampedusa e Potenza.

Il 10 aprile scorso è stato presentato alla Camera dei Deputati un dossier realizzato da Cild, Indie Watch e Asgi sulle condizioni dei migranti presso l’hotspot dell’isola siciliana. Nel documento si raccontano nel dettaglio le violazioni dei diritti umani subite dagli ospiti, in particolare quelle dell’otto marzo scorso, quando le forze dell’ordine avrebbero represso con la violenza alcune proteste. Negli scontri sono stati coinvolti anche donne e minori – una bambina di otto anni è stata condotta al punto di soccorso dell’isola dopo aver subito delle manganellate.

A Potenza invece, nel Centro di Permanenza per il Rimpatrio di Palazzo San Gervasio, nelle ultime settimane si sono ripetuti episodi di manganellate, utilizzo di gas lacrimogeni e altre violenze da parte della Polizia, in quello che LasciateciEntrare definisce un “lager di stato”.

Se in questi casi e in quelli denunciati da Amnesty International la violenza proviene dalle forze dell’ordine, più delicato è il coinvolgimento degli operatori all’interno dei centri. Nel caso dell’inchiesta pubblicata da The Intercept sugli Stati Uniti le violenze erano commesse anche da personale interno, e situazioni simili si sono verificate anche in Italia. “Negli hotspot e nei centri di accoglienza del Sud Italia abbiamo rilevato casi di violenza verbale e fisica, arrivati fino alla minaccia con armi,” continua Accardo. “Abbiamo avuto segnalazioni di controllo costante sui cellulari dei migranti, uso di psicofarmaci per evitare proteste e farli addormentare, mancanza di assistenza sanitaria. In un centro nella provincia di Crotone ci sono state diverse segnalazioni di abusi sessuali commessi sugli ospiti, mentre in provincia di Sassari sono in corso indagini relative a giri di prostituzione che coinvolgono i centri.”

Basta una banale ricerca su Google per rendersi conto che tra indagini pendenti, denunce e testimonianze varie, la questione delle violenze – anche sessuali – nei confronti dei migranti in Italia è tutt’altro che trascurabile. In Sardegna i gestori di un centro di accoglienza sono stati accusati di sequestro di persona e violenza sessuale nei confronti degli ospiti; a Palermo una 29enne tunisina da poco arrivata in Italia ha denunciato di aver subito abusi da parte del medico a cui era stata affidata; a Roma un giovane rifugiato del Gambia ha perso un occhio durante uno sgombero della Polizia.

A rendere questa situazione – già di per sé inaccettabile – paradossale contribuisce il fatto che denunciare storie di questo tipo rischia spesso di trasformarsi in un boomerang. “Parlare degli abusi può rivelarsi controproducente, perché già l’accoglienza la vogliono in pochi, se poi si inizia a parlare di violenza la situazione peggiora ulteriormente,” spiega Accardo.

Anche gli ultimi dati elettorali dimostrano che il nostro è un Paese in cui si parla di migranti solo nei termini di “primaglitaliani” e di “business dei migranti”. In un tale clima, la denuncia e il monitoraggio dei casi di abusi e violenze nei confronti dei migranti hanno inevitabilmente un unico destino: la strumentalizzazione, diventare gli ennesimi tasselli del muro all’accoglienza. Gli abusi e le violenze sui migranti vengono così strumentalizzati e conditi con sempre nuove bufale come il “wifi gratis”, i “40 euro” e gli “hotel a 5 stelle”, per arrivare alla solita, semplicistica conclusione: “mandiamoli a casa loro”. Anche perché qui rischiano solo di prendere legnate, nel silenzio generale.