Perché negli Stati Uniti le aziende stanno assumendo tantissimi adolescenti

Cercasi lavoratori. Requisiti: essere giovanissimi. Le azienda statunitensi stanno assumendo ragazzi tra i 16 e i 19 anni. E non tanto perché la loro busta paga pesa meno, ma perché la manodopera manca e c’è bisogno di forze fresche. È uno degli “effetti collaterali” della crescita: dopo la profonda crisi del 2009, il Paese è ripartito e a marzo ha registrato un tasso di disoccupazione del 4,1%, il più basso degli ultimi 17 anni. I lavoratori da assumere sono pochi. E le aziende iniziano a cercarli tra gli adolescenti.

Chi ci guadagna

Lo scorso luglio, la disoccupazione dei ragazzi tra i 16 e i 19 anni ha toccato il 13,3%. Un livello così basso non si vedeva dal 1969, cioè dalla guerra del Vietnam. E si è osservato poche altre volte: nel secondo dopoguerra o durante la crescita delle dot-com. “Un mercato del lavoro sempre più ristretto sta riammettendo anche la forza lavora che un tempo ne era esclusa, come i teenager”, ha spiegato al Wall Street Journal Abigail Wozniak, economista dell’università di Notre Dame. Per gli adolescenti si aprono nuove opportunità: hanno un lavoro e fanno esperienza. E per le imprese l’esigenza di trovare nuova manodopera si trasforma da necessità in opportunità: gli adolescenti portano spesso in azienda competenze informatiche che i più anziani non hanno; guadagnano in media metà rispetto agli adulti e hanno costi sanitari più bassi. Una discrepanza che però non crea conflitti generazionali perché i lavoratori, più o meno giovani, servono. Quindi niente licenziamenti.

Ecco perché imprese e politica stanno cercando di facilitare l’assunzione dei teenager. Molte aziende, afferma il Wall Street Journal, pescano i ragazzi più promettenti nei programmi professionali delle scuole superiori. Rimuovono i paletti un tempo necessari per firmare un contratto (come ad esempio un limite minimo di anni d’esperienza) e concedono orari più flessibili. Le leggi federali non limitano le ore lavorative per gli adolescenti. Ma alcuni Stati sì. Anche se sono in discussione diverse proposte di legge che puntano ad allentare i lacci o abbassano l’età minima per guidare un furgone o manovrare un macchinario industriale.

Meno garzoni e più competenze

Il risultato è che oggi lavora il 30,7% dei ragazzi americani tra i 16 e i 19 anni. Una percentuale in crescita come non si vedeva dagli anni ’90. Negli anni ’70 e ’80, prima che si rinforzasse la tendenza a frequentare l’università, il tasso sfiorava il 50%. Ma con una grande differenza: quelli erano lavoretti, spesso passeggeri e a misura di ragazzino. Tutti abbiamo visto un film americano in cui il ragazzo inforcava la bici per consegnare giornali. Oggi non è più così. La maggior parte dei teenager lavora ancora (come un tempo) nella ristorazione. Ma adesso – afferma il Census Bureau – rispetto a metà anni ’90 si sono quasi dimezzati i ragazzi che si mantengono facendo i babysitter, i commessi o i garzoni. Sono invece molti di più quelli che lavorano nei settori manifatturiero, informatico e sanitario.

I possibili rischi

E allora tutti felici e contenuti? Un rischio – sottolinea Fatih Guvenen, economista dell’università del Minnesota – c’è. Entrare così presto nel mondo del lavoro significa, quasi sempre, rinunciare all’università. Nel breve periodo potrebbe convenire. Ma nel lungo termine potrebbe voler dire meno stabilità (perché i costi per licenziare lavoratori poco qualificati sono più bassi) e meno guadagni: negli Stati Uniti, un laureato che lavora a tempo pieno da più di 25 anni incassa in media 1286 dollari a settimana. Cioè 573 dollari in più rispetto a chi ha un diploma e più del doppio di chi non ha neanche quello.