Poca programmazione, obiettivi frammentati, burocrazia: ecco perché le politiche per la coesione non hanno fatto svoltare il Sud

Mobilita 352 miliardi in sette anni (2014-2020) in Europa, oltre 46 dei quali in Italia. Eppure non ha avuto un peso risolutivo nell’appiattire le differenze tra il Nord e il Sud del Vecchio continente, nel rendere omogenei “i luoghi delle opportunità e quelli dell’esclusione”. La Politica di coesione di Bruxelles e i suoi fondi strutturali sono un bazooka con armamenti importanti. Ma alla disanima dell’Ufficio Valutazione Impatto del Senato pubblicata in settimana ne escono a pezzi. Con una appendice ancor più nera per l’Italia, che secondo gli economisti “si ritrova oggi con un primato non invidiabile: ha il valore più basso di sviluppo sociale nell’UE-15 e il suo Mezzogiorno, con venti milioni di abitanti, è la più grande area depressa del continente”.
“Purtroppo le regioni del Mezzogiorno restano tra le più povere dell’Europa e questo naturalmente a causa di tutti gli amministratori che si sono succeduti fino ad adesso. Le politiche di coesione hanno fallito il proprio obiettivo”, ha detto pochi giorni fa il ministro per il Sud, Barbara Lezzi. Cosa non ha funzionato?, si sono chiesti nell’organismo tecnico e imparziale che valuta rischi, costi e benefici delle politiche adottate.
I risultati delle politiche europee sulle diverse Regioni sono stati differenti. La Germania ha incassato “gran parte del bonus di crescita regionale”, mentre le regioni italiane (Abruzzo fino al ’96, Molise e Sardegna fino al 2006, Campania, Calabria, Basilicata, Puglia e Sicilia) hanno registrato “migliori risultati occupazionali”, ma che “si sono conclusi con la crisi”. Ogni territorio ha reagito alla pioggia di denari in base alle proprie condizioni pregresse e ai canali che sono stati attivati. L’occhio dell’Uvi si posa con particolare attenzione sull’Italia per dire laconicamente che gli effetti dell’utilizzo dei fondi strutturali sono stati “modesti” e per di più “provvisori”.
“I risultati per le regioni italiane sono generalmente meno positivi” che altrove. “Le conseguenze medie sulle dinamiche economiche sono modeste e, peraltro, potrebbero derivare da effetti transitori e non permanenti: ne è un esempio il caso dell’Abruzzo, la cui uscita dall’Obiettivo 1 ha determinato, nel tempo, un effetto negativo sul Pil pro capite regionale”. Perché questo quadro poco lusinghiero? Non è tanto una questione di masse di denari investiti, quanto la “qualità istituzionale
a livello territoriale. Dalle carenze del contesto istituzionale – soprattutto nel Mezzogiorno – discendono i deficit in fase di programmazione; la scarsa velocità di esecuzione, connessa alle lentezze burocratiche; l’eccessiva enfasi su trasferimenti e incentivi che si sono spesso dimostrati inefficaci, soprattutto se distribuiti secondo pratiche discrezionali; l’elevata frammentazione negli obiettivi e negli interventi”.
Bisogna poi considerare che spendere di più non è sempre spendere meglio. Se si misura l’impatto delle risorse riversate sui territori in crescita annuale del Pil, si scopre che l’effetto positivo non è lineare e – anzi – un eccesso di denari investiti rischia di diventare uno ‘spreco’: “L’intensità massima desiderabile va da 305 a 340 euro pro capite. Oltre questa soglia l’impatto sulla crescita regionale diventa trascurabile o nullo. Le regioni europee che hanno ricevuto più di 340 euro per abitante sono 11 su 208 e assorbono l’11% del totale dei fondi strutturali. Se il contributo fosse stato mantenuto sotto il limite utile, l’Unione avrebbe risparmiato 5,1 miliardi di euro che avrebbe potuto utilizzare per aumentare il sostegno alle altre regioni meno sviluppate”.
In conclusione dall’Uvi suggeriscono alcuni tasti da battere per migliorare l’efficacia della politica di coesione: redistribuire le risorse dalle regioni eccessivamente sussidiate; rendere maggiormente complementari gli obiettivi della politica e la dotazione di capitale territoriale per regione; consentire una maggiore flessibilità rispetto alle esigenze e agli obiettivi generali di ogni Stato membro dell’Unione europea. Su tutto, in ogni caso, pesa una eventuale sforbiciata alle risorse nel ciclo 2021-2027: “Potrebbe avere conseguenze assai pesanti per il nostro Paese”.