Scuola, Ocse: i prof italiani sono i più anziani e i meno pagati

Almeno cinquantenni e con stipendi progressivamente in calo nel tempo: è la fotografia degli insegnanti italiani rispetto ai loro colleghi nei Paesi dell’area Ocse. In particolare, le retribuzioni dei prof risultano più basse se confrontate con la media Ocse: nel 2016 gli stipendi iniziali variavano tra l’89% (scuola secondaria superiore di indirizzo generale) e il 94% (scuola pre-primaria) della media Ocse. E’ quanto emerge dall’ultima edizione di ‘Education at a glance 2018’, organizzato dall’Organizzazione internazionale per la cooperazione e lo sviluppo economico con l’associazione TreeLLLe. Secondo l’Ocse, l’Italia è il paese con gli insegnanti più anziani: nel 2016, il 58% aveva almeno 50 anni e, sempre nel 2016, i loro stipendi corrispondevano al 93% del loro valore rispetto al 2005. Nelle cattedre, inoltre, dominano le donne (l’Italia è uno dei Paesi con la maggiore quota di insegnanti al femminile) ma la loro presenza cala man mano che cresce il livello d’istruzione. Nel 2016 quindi si erano il 99% nella scuola pre-primaria, il 63% negli istituti superiori e il 37% all’università. L’Italia ha raggiunto un tasso di scolarizzazione completa (superiore al 90%) per i bambini di età compresa tra 5 e 14 anni e ha quasi raggiunto la piena scolarizzazione per i più piccoli. Solo il Lazio ha un tasso di scolarizzazione inferiore al 90% nella scuola pre-primaria per i bambini di 4 anni, e solo quattro regioni per i bambini di 3 anni (Emilia-Romagna, Lazio, Lombardia e Provincia autonoma di Bolzano). Buoni i risultati anche tra i 15-19enni: quelli scolarizzati in Italia sono l’83%, una quota appena inferiore alla media Ocse dell’85%,e il valore è omogeneo nelle varie regioni. Sul fronte universitario, i laureati italiani (25-34enni) sono meno rispetto a quelli degli altri Paesi Ocse, ma la quota è aumentata nell’ultimo decennio passando dal 19% nel 2007 al 27% nel 2017.  Non hanno un lavoro né lo cercano, non studiano e non frequentano un corso di formazione: sono i giovani italiani di età compresa fra 25 e 29 anni, i cosiddetti ‘neet’, che lo scorso anno erano il 34% (28% uomini e 40% donne). La percentuale scende al 30% per quelli di età compresa fra 20 e 24 anni. Dati preoccupanti rispetto alle media del 16% dei loro coetanei nei Paesi Ocse. In Italia il tasso di inattività è più elevato per le donne, ma il divario di genere è leggermente più ampio (17% per le donne, 7 punti percentuali in più rispetto agli uomini) anche se diminuisce secondo il livello d’istruzione raggiunto.