Tutti poliglotti, grazie alle cuffie di Google: traduzione simultanea in 40 lingue

 

 

 La fantascienza che diventa realtà. A portata di tasca. Anzi, di orecchio. Si tratta dei Pixel Buds: gli auricolari senza fili appena presentati da Google, da accoppiare ai nuovi smartphone, i Pixel 2, firmati da Mountain View. Sono passati quasi in sordina. Ma ad ascoltar bene sono la vera sorpresa messa su piazza da Big G. Un prodotto che, se funziona, potrebbe rivoluzionarci la vita.

Perché queste cuffie promettono di diventare la versione tangibile del Pesce di Babele: il traduttore universale dalle sembianze di un pesciolino giallo, fantasticato dallo scrittore Douglas Adams nel romanzo Guida galattica per gli autostoppisti. La persona che abbiamo di fronte ci parla in tedesco, di cui noi non capiamo un accidenti? Niente paura: il dispositivo convertirà il discorso in maniera a noi comprensibile, in tempo reale. Viceversa ci suggerirà le parole da dire nell’idioma che desideriamo.

Già quaranta le lingue a disposizione, tra cui la nostra. «Immagina, per esempio, di trovarti a Little Italy e voler ordinare un piatto di pasta come un nativo del posto. Tutto quel che devi fare è premere l’auricolare destro e dire: Aiutami a parlare italiano», ha scritto Adam Champy, responsabile del prodotto, sul blog aziendale. Un sogno che diventa realtà per gli aspiranti poliglotti, un incubo per i traduttori professionisti.

Le cuffie funzionano in combinazione con Google Translate incorporato nei Pixel 2, che – assicurano dall’azienda – è particolarmente smart. Il costo è di 149 dollari, ma il dispositivo non è ancora disponibile in Italia: si dovrà aspettare. C’è da capire quanto la traduzione sarà corretta e puntuale. Se la dimostrazione a San Francisco, dove i nuovi frutti di Big G sono stati svelati al mondo, è stata tanto impeccabile quanto impressionante, nella realtà il prodotto potrebbe risultare deludente. Basti pensare al software di Google che permette di convertire l’audio in testo: ancora acerbo, quasi inutilizzabile. E del resto, Mountain View non è la prima a tentare una mossa del genere. Un esempio sono gli auricolari Dash Pro che da maggio offrono lo stesso servizio, usando l’app iTranslate sull’iPhone.

Lo sviluppo dell’intelligenza artificiale rappresenterà, di certo, la chiave di volta per queste tecnologie. E nell’allenare al linguaggio naturale i sistemi cognitivi che si nascondono dietro le quinte dei social, dei nuovi chatbot, al pari degli assistenti vocali smart,  si stanno concentrando gli sforzi dei big dell’hi-tech. Google è che tra i colossi che si sono spinti più lontano. Ha dato in pasto a uno dei suoi sistemi di apprendimento automatico migliaia di libri e assoldato scrittori e poeti. Il tutto per educare i pc all’arte della conversazione. I risultati non mancano. Per esempio, a far da interprete su Google Translate, Big G metterà presto un algoritmo interamente basato sul deep learning, cioè quella tecnologia d’apprendimento automatico sviluppata a partire dagli anni Ottanta che mima il comportamento dei neuroni umani. Con cui, assicura l’azienda, gli errori sono ridotti del 60 percento.