Caso Uva, assolti in appello carabinieri e agenti imputati

Momenti di tensione in aula dopo l’assoluzione dei due carabinieri e dei sei poliziotti a processo per la morte di Giuseppe Uva, avvenuta nel 2008 a Varese. «La legge non è uguale per tutti» ha gridato in aula Angela, la nipote del 43enne deceduto. La sorella di Uva, Lucia, ha voluto invece stringere la mano al sostituto pg, Massimo Gaballo: «Per la prima volta abbiamo avuto la procura dalla nostra parte» ha detto.

La Corte d’Assise di Milano ha confermato il verdetto del Tribunale di Varese, dell’aprile 2016, e ha escluso anche in secondo grado la responsabilità degli otto imputati per omicidio preterintenzionale e sequestro di persona aggravata. L’accusa aveva chiesto condanne fino a 13 anni di carcere, sostenendo che “le condotte illecite degli imputati” provocarono lo stress e la “tempesta emotiva” che, insieme a una pregressa patologia cardiaca, causò la morte del 43enne.

Uva fu fermato nel giugno 2008 da due militari mentre stava spostando delle transenne dal centro di Varese. Fu poi portato in caserma e infine trasportato con trattamento sanitario obbligatorio all’ospedale di Circolo di Varese, dove morì la mattina successiva per arresto cardiaco. Le condotte dei due militari, secondo l’accusa, furono dovute alla decisione dei due militari di “dare una lezione” all’uomo, che si sarebbe vantato di una presunta relazione sentimentale con la moglie di uno dei due. Per Gaballo, quando fu fermato Uva venne “scaraventato a terra senza nessuna necessità” e in caserma venne chiuso in una stanza.

L’accusa aveva anche contestato la presunta ‘inattendibilità’ descritta nella prima sentenza, di alcuni testimoni, tra cui Alberto Bigioggero (condannato per l’omicidio di suo padre, avvenuto nel 2017). “Bigioggero – ha sostenuto il pg – ha sempre fornito una versione identica dei fatti e le sue dichiarazioni sono pienamente attendibili”. Come ricostruito dal rappresentante dell’accusa, fu proprio l’amico dell’operaio a riportare la frase che sarebbe stata pronunciata da uno dei militari al momento del fermo: “Uva, proprio te cercavo!”. Questa circostanza, secondo l’accusa, e’ “assolutamente accertata” e sarebbe la prova che i due militari quella sera “decisero di dare una lezione a Uva”. Diversa la tesi dei difensori degli imputati, che hanno sostenuto che non vi fu quella sera “nessuna macelleria, nessuna azione di violenza” e che l’accusa “è stata gonfiata” per effetto “di un aspetto mediatico e televisivo che ha spettacolarizzato la vicenda”.